PIANETA ADOLESCENZA

"Extraterrestre portami via 
voglio una stella che sia tutta mia 
extraterrestre vienimi a pigliare 
voglio un pianeta su cui ricominciare!"

Extraterrestre  di Eugenio Finardi
 

Adolescenza deriva dal latino e significa "crescere, rafforzarsi"; delineando un percorso di vita, un'avventura difficile e magnifica allo stesso tempo, in cui si cresce e ci si rafforza per diventare adulti, dove si raggiunge un modo più maturo di essere e la costruzione di una propria identità.

Tale periodo è caratterizzato da un'enorme instabilità emotiva e comportamentale, di sperimentazione e di grande fragilità.

In questo periodo infatti si abbandonano le sicurezze costruite nell'infanzia per cercarne di nuove che non siano più lo specchio dell'immagine dei genitori, ma il frutto di una propria esperienza personale.

Per questo motivo i ragazzi sentono di doversi allontanare dai genitori, per trovare una propria strada e  fare le proprie esperienze; è proprio nel contrasto e nella differenza dai loro modelli che imparano chi sono e scoprono sè stessi, per poi riappropriarsi dei valori e dei modelli familiari.

Durante questo periodo i figli devono affrontare numerosi cambiamenti e acquisire capacità per far fronte alle nuove situazioni, come:

  • stabilire nuovi legami più maturi con i coetanei
  • acquisire comportamenti adeguati al ruolo sessuale
  • accettare il proprio corpo che cambia e diventa "adulto"
  • raggiungere indipendenza emotiva dai propri genitori
  • costruire una propria identità
  • essere capace di ragionare per ipotesi e impostare le prorie prospettive future
  • confrontarsi co le prime relazioni sentimentale e acquisire la capacità matura di amare

Anche i genitori dunque devono svolgere alcuni compiti evolutivi per favorire il processo di crescita, di separazione e individuazione dei figli. Infatti  i genitori si trovano ad elaborare il distacco dei figli che procedono verso nuovi investimenti affettivi, ad imparare a contenere le preoccupazioni attivate dalle contestazioni dei figli, a riorganizzare nuove dinamiche familiari e a reinvestire sulla coppia.

Per i genitori non è facile affidarsi all'istinto per trovare la giusta misura fra la preoccupazione di proteggere i figli e il dover consentire loro di fare esperienze per crescere. Diviene importante attivare un comportamento chiaro ed accogliente, per non imporsi sempre e obbligare i figli alle proprie decisioni, nè tuttavia dare sempre loro ragione e acconsentire ad ogni loro richiesta. Occorre imparare a cedere poco alla volta permettendo ai figli di prendersi responsabilità e fare via via le esperienze opportune.

Un rapporto che possa favorire la crescita dei figli deve comunicare che sono accetati per quello che sono. Infondo i ragazzi chiedono solo di essere accompagnati, non giudicati e ascoltati. Ascoltarli significa dare loro la possibilità di esprimersi e di farsi riconoscere non più come bambini, rispettati come persone distinte da noi, con i loro pensieri e una loro personalità.

Dott.ssa Gitana Giorgi

 

L'ASCOLTO ATTIVO, L'EMPATIA E LA TECNICA DELLA RIFORMULAZIONE


La chiave dell'ascolto attivo o è l’empatia che prende corpo nel dialogo con un ascolto attivo, evitando ogni giudizio. Empatia deriva dal greco “pathos” in cui è stato aggiunto il prefisso “in” e sta ad indicare “un sentire dentro”, quindi un sentimento profondo simile alla sofferenza. Si tratta dunque di una compartecipazione, di un calarsi nei panni dell’altro, un saper condividere gli stati d’animo della persona e la sua sofferenza, un saper aiutare e un saper comprendere.
L’obiettivo esplicito di un ascolto attivo è la comprensione di una persona, di un problema, di un comportamento, di una decisione, realizzabile facendo riferimento ai principi indicati da Rogers (disponibilità integrale, atteggiamento non giudicante, non direttività, comprensione autentica dell’altro, obiettività).


CARL ROGERS E LA “TERAPIA CENTRATA SUL CLIENTE”
Carl Rogers è considerato l’artefice del ribaltamento del tradizionale modo di concepire l’aiuto e dell’enfasi attribuita al ruolo ricoperto dall’operatore/esperto rispetto a quello del cliente: l’aiuto era infatti ritenuto un processo elaborato esclusivamente  dall’esperto sul quale era "centrata" l’attenzione e la responsabilità, mentre al cliente spettava solo un ruolo passivo di attesa.
Carl Rogers rivoluziona questo schematismo individuando nel "cliente" l’attore principale del processo di aiuto, che non si realizza nel proporre soluzioni, ma nell’eliminare gli ostacoli di natura emotiva, cognitiva o legati a impedimenti esterni che rendono difficile. Secondo Rogers, la relazione d’aiuto viene a configurarsi come uno strumento di libertà, utile a ricreare intorno alla persona condizioni favorevoli alla crescita. L’attenzione rivolta al cliente, il "centrarsi"  su di esso si giustifica con la necessità per la persona di sperimentare un clima di responsabilizzazione e valorizzazione nel processo di aiuto che assume le caratteristiche di un "allenamento" per la conquista dell’autonomia.
 
CINQUE ATTEGGIAMENTI CHE OSTACOLANO L'ASCOLTO
Roger Mucchielli (1995), ha individuato cinque atteggiamenti non costruttivi dell’operatore che non facilitano l’espressione verbale del soggetto, chiamate "risposte dell’operatore”:
1) La risposta di valutazione o di giudizio morale consiste nell’approvazione,  disapprovazione, il pensare in un modo anziché in un altro, il riferimento a criteri considerati più giusti da parte dell’intervistatore. L’effetto di una risposta di tal genere produce nel cliente l’idea di essere giudicato.
2) La risposta interpretativa (d’interpretazione personale o di spiegazione) è determinata dalla percezione che l’intervistatore ha del racconto del cliente di cui individua alcuni punti da lui ritenuti essenziali, presentando una distorsione del racconto, o  ne rappresenterà una spiegazione. Qualunque sia la risposta, essa si configura come una proiezione del modo di pensare dell’intervistatore e, di conseguenza, può indurre nel soggetto la sensazione di non essere stato capito.
3) La risposta di supporto affettivo (sostegno-consolazione), che si presenta come incoraggiamento, consolazione o comprensione, è determinata dalla volontà di fornire rassicurazioni al cliente, minimizzando l’importanza della situazione prospettata, al fine di ridurre il rischio di reazioni eccessive.
4) La risposta inquisitiva (investigazione, richiesta di informazioni supplementari) consiste nel porre domande al fine di ottenere risposte ritenute indispensabili per comprendere con maggiore precisione la situazione. Il fare domande costringe il cliente a focalizzare la sua attenzione su questo o su quell’aspetto, mettendo in luce l’opinione dell’intervistatore. Il cliente può reagire o assumendo l’atteggiamento di colui che vive il colloquio come un interrogatorio oppure cercando di dare la migliore immagine di sé.
5) La risposta-soluzione del problema consiste nel proporre al cliente la soluzione al problema, indicandogli la meta ed il metodo. La soluzione gli è imposta dall’esterno, in quanto rappresenta la soluzione che avrebbe scelto l’operatore se si fosse trovato nella medesima situazione. Il cliente non può sentirsi soddisfatto da una soluzione che non gli appartiene, ma ha l’impressione di essere stato liquidato senza aver ricevuto nessun aiuto.
 LA RIFORMULAZIONE: TECNICA BASE NEL COLLOQUIO D’AIUTO.
La riformulazione è un intervento dell’operatore che consiste nel riassumere ciò che l’utente ha appena detto. L’operatore in questo modo è sicuro di non introdurre niente di estraneo o interpretativo nella conversazione; così il soggetto si riconosce nella riformulazione e sentendosi compreso è pronto ad esprimersi ancora.
La riformulazione più semplice consiste nel parafrasare la comunicazione dell’utente e nella risposta-eco dove l’operatore ripete semplicemente le ultime parole del soggetto, fino ad una riformulazione più complessa  dove si mette in luce  non solo il senso di ciò che ci è stato detto ma anche le emozioni esperite.
Attraverso il colloquio, grazie al riflesso prodotto dalla riformulazione, il soggetto riesce ad assumere un atteggiamento di distanza ed oggettività rispetto alla propria situazione, attivando una  nuova capacità autonoma di riflessione e una  formulazione oggettiva del suo vissuto e delle possibili soluzioni

Blog

COMUNICAZIONE GENITORI E FIGLI: ASCOLTARE EMPATICAMENTE

 

I grandi non capiscono mai niente da soli e    

i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta."  

(Tratto Dal Piccolo Principe di Saint Exupéry). 

Spesso “i grandi” interpretano il mondo con i propri occhi, ma per capire cose ci vogliono realmente comunicare i “piccoli” dobbiamo ascoltare le loro parole ed entrare nel loro mondo!!!
Se non riusciamo a capire allora la comunicazione si fa sempre più difficile e i figli non sentendosi compresi forniscono risposte incomprensibili come i silenzi, le giustificazioni, le reazioni di rabbia.
Comunicare in modo efficace, permette una maggior condivisione e conoscenza dei punti di vista dei figli, di ciò che sanno, pensano e provano; di capire quali sono le reali richieste e i bisogni dei figli.
“I bambini vogliono essere ascoltati con occhi gentili, con occhi spalancati!!” (Beatrice Alemagna).
Osservare con curiosità rispettosa i bambini, mostrare interesse per i contenuti che ci portano, provare ad entrare in contatto con le loro emozioni.
I bambini hanno bisogno di parlare ma per farlo devono trovare chi li ascolta senza giudicare, hanno bisogno di un contenitore che sappia accettare la loro emozioni e che li aiuti ad esprimersi. La comunicazione con i bambini dovrebbe essere tale da fornirgli un vocabolario adatto a parlare delle loro emozioni.
Alcuni atteggiamenti che aiutano il bambino ad aprirsi e comunicare:
  • Non negare o deridere i sentimenti
  • Dare fiducia senza imporre nostre definizioni o etichette (“sei cattivo”)
  • Non svalutare o banalizzare i discorsi dei piccoli
  • Prestare loro attenzione con interesse
  • Mostrarsi affettuosi e gentili
  • Fornire esperienze appropriate al livello di sviluppo
  • Ascoltare con empatia
  • Fornire del tempo di condivisione
  • Mantenere le promesse
  • Ricordarsi sempre che l’apprezzamento è un grande nutrimento! Quindi adottare una comunicazione positiva ed emotiva (sono contento di stare con te, mi piaci, bravo! etc.)
Dunque per comunicare bene bisogna saper ascoltare, cioè ascoltare in modo empatico, non giudicante, in un clima di accettazione e apertura.
I genitori possono attingere dalle proprie esperienze, ripescare nella proprio memoria il bambino che sono stati, cosa amavano fare, dove giocavano, con chi piaceva stare, da quali figure importanti sentono di aver imparato di più, etc. Nella nostra storia c’è il nostro modo di stare con l’altro e anche la nostra preparazione!!!!
Le proprie esperienze alcune volte possono non bastare, in quanto i genitori devono svolgere compiti educativi sempre più complessi e frequentemente si sentono smarriti e senza strumenti. Per questo diventa importante non chiudersi in sè stessi  ma usufruire dei momenti di informazione, riflessione, confronto che spesso la scuola e i servizi offrono.
 
Dott.ssa Gitana Giorgi

 

IL LINGUAGGIO E LA COMUNICAZIONE  NELLE PRIME FASI DI VITA.

La comunicazione è l’unico modo attraverso il quale apprendiamo chi siamo: il nostro senso di identità si stabilisce a seconda di come ci mettiamo in relazione fin dall’infanzia, con  genitori, familiari, adulti e amici.
Vygotskij (1934) dava molta importanza al ruolo del linguaggio e dell’interazione sociale nel concetto di sviluppo. Il suo concetto di zona di sviluppo prossimale fa riferimento a come il più competente assiste il giovane e meno competente al fine di consentirgli un apprendimento ottimale e superiore a quello che avrebbe potuto raggiungere individualmente. Queste esperienze condivise accumulate nel tempo contribuiscono alla relazione genitori/figli: così il linguaggio, specialmente il linguaggio parlato, è il veicolo che fornisce le basi per l’instaurarsi di relazioni interpersonali (Pontecorvo, 1999).
L’origine delle prime interazioni sociali dei bambini udenti con le loro madri ha inizio anche prima della nascita. Infatti, durante l’ultimo trimestre di gravidanza il feto muta la propria posizione e si colloca con la testa vicino al bacino della madre. Il bambino, in questa posizione, ha una notevole rispondenza ai suoni e sente la voce della madre e il battito del cuore attraverso la conduzione delle ossa. La prima competenza uditiva sostiene un insieme di funzioni biologiche come lo sviluppo del linguaggio e del legame tra madre e figlio. Inoltre il legame madre-bambino sarebbe rafforzato dalla capacità del neonato di discriminare la voce della propria madre da quella di altre donne (Camaioni, 1993).
La nozione di differenziazione è alla base dello sviluppo del concetto di sé nel bambino. Il concetto di sé inizia con l’acquisizione del senso di essere un’entità distinta e separata dalla madre e dagli altri, un’entità differente che occupa una sua posizione nello spazio e possiede determinate proprietà. All’inizio della sua vita il bambino è indifferenziato, è fuso con tutto ciò che lo circonda. Il linguaggio gli permetterà di prendere le distanze in rapporto al proprio vissuto, di rendersi autonomo, di istituire un suo ordine del mondo. Il bambino attraverso l’operazione di attribuzione di nomi riesce a distinguersi come soggetto da ciò che lo circonda. Attraverso il linguaggio si ha la distinzione tra l’io e il tu, cioè la coscienza di se stessi come entità distinte, rendendo possibile la comunicazione (Ricci-Bitti & Zani, 1983, p.218).
Gli esperimenti di Vygotskij (1934) dimostravano l’importanza della comunicazione verbale con gli adulti come fattore potente nello sviluppo dei concetti del bambino. Questo autore sosteneva che la prima funzione del linguaggio fosse quella comunicativa, cioè vedeva il linguaggio come mezzo di relazione sociale, di espressione e comprensione. La relazione sociale fondata sulla trasmissione intenzionale del pensiero e delle esperienze vissute richiede un sistema di mezzi il cui prototipo è il linguaggio umano e presuppone un processo di generalizzazione e lo sviluppo del significato della parola, dunque i simboli che etichettano l’esperienza debbono essere associati con classi definite, poiché l’esperienza singola per essere comunicata deve essere riferita ad una classe che sia accettata dalla comunità.
Secondo Vygotskij dunque lo sviluppo del linguaggio e delle facoltà mentali ha una natura sociale e perciò scaturisce dall’interazione dell’adulto con il bambino (Vygotskij, 1934), pertanto i deficit di comunicazione si ripercuotono sulla crescita intellettiva, sullo scambio sociale, sullo sviluppo del linguaggio e sugli atteggiamenti emotivi. Sulla base di tale prospettiva acquista particolare importanza il dialogo della madre con il figlio. Alcune madri offrono stimoli ponendo domande, introducono il senso dello spazio e del tempo, elaborano attraverso il linguaggio ogni cosa vista, toccata, udita. Queste madri introducono il bambino in un mondo più ampio e complesso e incoraggiano la formazione di un mondo concettuale. Il dialogo creativo e la ricchezza di scambi comunicativi durante l’infanzia stimolano l’immaginazione, conducono all’autonomia e alla sicurezza, producono vivacità e serenità nell’individuo.
Quando invece il dialogo è povero ne consegue una limitazione nello sviluppo intellettivo, timidezza e passività. Il dialogo avvia il linguaggio e stimola le facoltà mentali, diventando in seguito il discorso interiore. Attraverso il discorso interiore il bambino può sviluppare concetti e significati suoi propri, conquistare la propria identità e costruire il proprio mondo (Sacks, 1991).
Considerando che il linguaggio parlato svolge il ruolo più importante per la comunicazione interpersonale, possiamo rilevare che la mancata acquisizione del linguaggio stesso, con l’impossibilità di recepirlo, venga a costruire una barriera tra gli uomini, sia che si consideri l’uomo come individuo inserito in un vasto contesto socio-culturale, sia che lo si consideri singolarmente sotto il profilo del suo sviluppo psico-intellettivo.
L’uomo  non comunica solo con le parole ma con i gesti e con i silenzi perché, secondo la teoria della comunicazione ogni comportamento umano, sia normale che disturbato, è comunicazione, in quanto veicola messaggi e trasmette informazioni capaci di influenzare altri comportamenti, rimanendone reciprocamente influenzato. Bateson (1976), per primo mise in evidenza che in ogni comportamento-comunicazione è possibile evidenziare due aspetti o livelli: uno si riferisce al passaggio di informazioni e quindi alla trasmissione di contenuti (metalinguistico), l’altro impone più direttamente un comportamento, perché si riferisce alla definizione della relazione tra i comunicanti (metacomunicativo). L’importanza dell’aspetto di relazione della comunicazione consiste non solo nel fatto che esso qualifica il primo, quello di contenuto, ma soprattutto nel fatto che nella comunicazione patologica l’aspetto di relazione acquista un rilievo preminente, mentre i contenuti recedono sullo sfondo, fino a non avere più alcun significato. Comunicare è dunque sempre un “dire”, al di là di ciò che viene detto, chi si è, cosa si pensa dell’altro e qual è la relazione che lega gli interlocutori.
La comunicazione non verbale si realizza attraverso diversi sistemi comunicativi, infatti, si parla di “linguaggio del corpo” dandogli la stessa attenzione attribuita agli aspetti verbali.
La comunicazione corporea ha un suo specifico linguaggio: invia significati, esprime emozioni attraverso il volto, i movimenti del corpo, comunica con la vicinanza fisica, lo sguardo, gli atteggiamenti nei confronti degli altri, come amicizia o dominanza.
L’origine della comunicazione non verbale può essere attribuita a fattori sia biologici sia legati all’apprendimento e all’esperienza sociale. Gli studi sullo sviluppo psicologico e sociale del bambino hanno rilevato che fin dalla nascita il neonato utilizza mezzi di segnalazione quali il pianto, il sorriso, la vocalizzazione, per attirare l’attenzione degli altri, per esprimere dei bisogni e per fare in modo che questi vengano soddisfatti, ma in seguito impara ad usare questi segnali in modo sempre più specializzato,  con una precisa volontà di comunicare e di provocare una reazione da parte degli altri.
Dunque gli aspetti non verbali del comportamento infantile (gesti, posture, espressioni facciali) entrano a far parte di un codice comunicativo condiviso tra il bambino e gli adulti che se ne prendono cura, in particolare la madre. Bisogna distinguere due fasi nello sviluppo comuncativo prelinguistico: una fase preintenzionale, dove il bambino produce comportamenti che vengono letti come segnali dall’interlocutore adulto ma che non hanno ancora questo valore per il bambino; e una fase intenzionale, in cui il bambino è capace di produrre e controllare gli effetti dei comportamenti che hanno il valore di segnali (Bates, Benigni, Bretherton, Camaioni, & Volterra, 1977).
La comunicazione intenzionale prelinguistica si affida essenzialmente all’utilizzo di gesti quali l’indicare, il mostrare, il dare e la richiesta ritualizzata.